FILIPPETTA LUIGI 1984 - Pietro Giambelluca scultore - PIGIA

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FILIPPETTA LUIGI 1984

RECENSIONI

"MOSTRA PERSONALE DI SCULTURA"
"SALONE DELLE ESPOSIZIONI"
Catalogo delle opere
Presentazione di LUIGI FILIPPETTA
Frosinone 1976

Presentare l’arte di Pietro Giambelluca a riguardo di una mostra comporta il rischio dell’ovvietà: tanto essa è nota per affermazioni conseguite, per gli studi di molti critici che ne hanno messo in rilievo i caratteri peculiari; inoltre essa è conosciuta da un folto pubblico sia per un contatto diretto con le varie opere collocate in piazze, chiese e collezioni, sia perché se ne parla frequentemente in varie circostanze.
Stando così le cose, sarebbe inutile anche la mostra stessa. Ne vanno però subito puntualizzate le motivazioni.
Lontana da ogni intento pratico o di mercato, questa mostra, proposta in termini di retrospettiva, ha soprattutto il valore di un omaggio spirituale – e perciò di cristallina purezza e nobiltà – che Giambelluca vuol rendere alla Ciociaria, a questa terra in cui ha svolto una fecondissima attività trentennale, e a tutti quei Ciociari di nascita e d’elezione, che l’hanno stimolato con la loro tangibile attestazione di apprezzamento per la sua produzione artistica. E di questo omaggio possiamo meglio cogliere il senso, quando pensiamo che all’attività di Giambelluca si delineano diversi orizzonti, che forse gli renderanno impossibili altre manifestazioni nella nostra città.
Accanto a questa motivazione di stacco sentimentale, essa ha anche un preciso significato di verifica della potenza espressiva raggiunta da Giambelluca nell’attuale momento del suo discorso artistico, pur nella continuità dell’ispirazione interiore di sempre; ed ha anche quello di verifica della rispondenza dei suoi modi interpretativi e creativi alla sensibilità contemporanea, pur nella tensione alla concreta e superiore idealità estetica che contrassegna l’arte di ogni tempo.
In questa prospettiva, il rapporto della modernità della sua arte con la classicità mi pare il momento più significativo per la valutazione della sua opera: un’angolazione che c’introduce tra i risvolti di una personalità artistica complessa per la pluralità delle dimensioni espressive, quale è quella di Giambelluca.
Classicità e modernità infatti vi sono fuse in un’unità mirabile: i loro elementi non possono essere scissi e rilevati senza disunire il suo discorso artistico, senza sconnettere la sintassi di quell’espressività – ora sonora nel dinamismo delle forme, ora di un’affascinante silenziosità raccolta nella morbida compostezza dei volumi – cui sono improntate le sue opere, dense di una vitalità che muove dal loro interno e si attua come valore plastico in uno spazio sentito quale potenziale espansione di una fantasia inesauribile.
Stanno in ciò la potenza e l’originalità dell’arte di Giambelluca. E non importano ascendenze e parallelismi con artisti del passato e del presente, sempre rilevabili anche nella genialità dei più grandi di ogni tempo: l’uomo procede nelle sue conquiste sulla base di un arricchimento personale, che è dato dalla capacità di assorbire e filtrare quanto è immerso nella spiritualità contemporanea. Importa l’originalità, cioè il modo personalissimo e irripetibile con cui egli sa manifestare e sintetizzare nella sua opera la continuità della tradizione e le esigenze espressive del nostro tempo al di fuori di ogni corrente e scuola, al di là di ogni tentazione di rottura e di mistificante sperimentalismo.
E dalla sua originalità prende risalto la purezza degli elementi della sua arte in ogni piano della realizzazione plastica. Si vedano i cavalli – che sono quasi il leit-motiv della sua produzione – così vivi nel loro dinamismo e svolti nella memoria fermentata dell’adolescenza, il cui eros prorompente indugia e freme nella sensualià delle groppe rotonde e nei fianchi agitati dall’interna vitalità. Si vedano i nudi così morbidi nella luminosità dei volumi, sulle cui superfici aleggia una delicatezza trasognata di casta femminilità. E le teste, in cui il rilievo dei tratti morali e spirituali delinea e caratterizza la singolarità della persona nella ricchezza delle notazioni esistenziali. E si veda l’arte dello sbalzo in rame, un’arte già fiorente ma decaduta negli ultimi secoli, che Giambelluca oggi riporta in primo piano, per effetto di una tecnica del tutto personale e di figurazioni articolate in movenze di imprevedibile fantasiosità.
È una purezza che deriva dalla sua sensibilità istintiva, ma anche dalla padronanza di mezzi, dalla conoscenza profonda del mestiere, senza cui non può esservi arte. Ed è purezza che nella forma è sottolineata dalla levigatezza delle superfici, per un interno bisogno di luce, quasi che questa non piova da fuori, ma promani dal di dentro, nella tensione dell’esistere dell’opera, in una sua continua e indefinita nascita nello spazio; e nel contempo è sottolineata dal suo discorso scevro da quei messaggi ideologici o pseudo-filosofici, di cui si carica e sotto la cui spinta si travolge tanta parte dell’arte contemporanea fino a provocare una confusione di linguaggi, che disorienta il pubblico e in definitiva sollecita l’arte stessa a fini che ad essa sono estranei.
Data la brevità di spazio, ho potuto mettere in evidenza solo sommariamente gli aspetti essenziali dell’arte di Giambelluca e me ne dispiace; ma il visitatore potrà vedere da sé, potrà entrare in rapporto con essa mediante la sola propria sensibilità, poiché l’arte autentica non richiede mediazioni interpretative: la rispondenza con essa è sempre immediata.
Ed ognuno potrà sperimentare quanto ciò sia vero con l’arte di Giambelluca, sicchè si potrà spiegare anche le ragioni e la misura del successo di un artista, che ormai ha stabilito e va rafforzando tutti i presupposti per svolgere un ruolo di primo piano nel campo dell’arte contemporanea.

Dal giorno in cui s’impose negli “Incontri della Gioventù” del 1953, Pietro Giambelluca – allora giovanissimo – non ha fatto che affinare i suoi mezzi espressivi attraverso una ricerca coerente e rigorosa, in rispondenza ad un bisogno essenziale della propria maturazione artistica.
Senza mai cedere allo sperimentalismo di maniera ed al facile avanguardismo, ha scelto la via più congeniale alla sua personalità: sollecitare l’inesauribile spontaneità, la fantasia straripante, a manifestarsi in un linguaggio che trovasse la sua formulazione in un ordine interno, originale e specifico. Ne testimoniano – ma si richiamano qui solo perché più noti fra le sue opere – il Trofeo Melecchi del 1974 e il trofeo della Lotteria di capodanno del 1963, ambedue esempi di una mirabile fusione di elementi figurativi in strutture astratteggianti, ed ambedue condotti secondo un intreccio fecondo di motivazioni fantasiose, che sembrano continuare al di là dei loro limiti struttivi (il primo, in una disposizione prismatica, risulta di una composizione di manubri che, nella figurazione concitata, dà l’idea di un finale di corsa ciclistica; il secondo risulta di un volo piramidale di rondini, che suggerisce un accordo di forme e di piani, uniti in ali e code, nel ritmo di uno spazio dinamicamente sentito).
Se ne accorsero subito critici avveduti, quali Michele Biancale, Mario Pepe, Giuseppe Bonaviri, Giuseppe Pelloni, che misero in evidenza le doti peculiari della personalità artistica del Giambelluca, la plastica come sua naturale dimensione espressiva, la purezza del suo stile, la ricchezza di fantasia che è alla base della varietà dei modi e dei temi in cui si esprime la sua arte, le ampie possibilità di sviluppo e di successo.
I critici che si sono occupati di lui in tempi successivi non hanno trovato che nuove ragioni per confermare quanto era già stato messo in evidenza, con l’aggiunta di altre notazioni rilevate per propria sensibilità personale o rilevabili per nuovi toni e contenuti espressivi assunti dal Giambelluca nel suo cammino artistico.
Perché nel frattempo Giambelluca non ha avuto indugi, stasi e tentennamenti al di là delle riflessioni attente sui risultati delle proprie esperienze. Il suo laboratorio è divenuto non molto dissimile dalle botteghe degli artisti del passato, i suoi lavori sono stati richiesti da collezionisti e intenditori ed egli è stato chiamato a prestare la sua opera nelle chiese (notevoli sono le sue opere nella Chiesa di Piano Zucchi, nel cuore delle Madonie, e quelle nella Chiesa di San Rocco in Ceprano) e nelle piazze con il pregevole monumento ai caduti di Alvito e quello di San Francesco Saverio Bianchi in Arpino: di questi non solo ho potuto notare la significativa concezione, ma anche l’ambientazione, studiata in modo da dare risalto all’opera di dentro a uno scorcio panoramico e da arricchire l’ambiente con un elemento, che ad esso conferisce un senso di nobilitazione per effetto di notazioni di sensibile spiritualità.
La sua attività è davvero fervida, feconda di elementi estetici, multiforme nella sua pluralità di modi. Dalla plastica a tutto tondo al bassorilievo e allo sbalzo in rame (rilevante quest’ultimo poiché gli riconferisce dignità artistica dopo una secolare decadenza), dallo stile statuario a quello ritrattistico che realizza nelle teste, egli passa attraverso i cavalli concitati nel loro dinamismo espressivo, densi di sentimenti e sensualità colti e fissati nella materia, attraverso i nudi femminili pervasi di una castità trasognata nella luce dei volumi appena segnati da qualche ombra, attraverso figure sbalzate che sembrano venir fuori dallo spazio in un’atmosfera irreale per l’irrompere di una luminosità misteriosa.
E tutto questo egli ottiene con assoluta naturalezza, senza il minimo sforzo che disturbi: segno che egli trova per sua natura l’espressione della sua personalità nel dominio della materia e per sapienza di mestiere nel dominio dei mezzi. Ma è segno anche che egli ha saputo cogliere lo spirito della modernità, il sentimento della nostra contemporaneità, nella continuità della tradizione, in cui affonda la nostra sensibilità e in cui ha radici la nostra umanità, che egli ha saputo e sa portare in evidenza attraverso il dono divino della sua arte.

                                 LUIGI FILIPPETTA


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